Come definire i ruoli aziendali e le responsabilità
Nell’ultimo articolo pubblicato nel blog Laccademya abbiamo descritto come la definizione degli obiettivi aziendali sia fondamentale per qualsiasi imprenditore. Un altro aspetto chiave per accrescere il business è rappresentato dalla suddivisione dei ruoli aziendali per costruirie un team di lavoro in grado di portare a termine i progetti assegnati.
Il successo di ogni attività imprenditoriale è frutto di un’organizzazione delle risorse e di una chiara definizione dei ruoli aziendali coinvolti nella gestione dei progetti e dei processi produttivi.
Per poter definire il ruolo di ognuno all’interno dell’organizzazione è indispensabile affidare ad ogni dipendente responsabilità e mansioni specifiche.
La gestione aziendale
Suddividere le mansioni e definire i ruoli aziendali è un’attività che rientra nel management aziendale. Tale attività coinvolge dunque i ruoli dirigenziali d’impresa. Prima di entrare nel vivo della trattazione è importante introdurre il concetto di struttura organizzativa. Chiarendo tale concetto sarà possibile stabilire le professionalità e i ruoli aziendali necessari.
Nella scelta dell’organizzazione aziendale la struttura da implementare deve essere coerente con il business di riferimento e soprattutto il più possibile flessibile per adattarsi alle esigenze del mercato. Esistono nell’organizzazione del lavoro, tre strutture:
- Struttura funzionale. E’ la struttura più diffusa e applicata che presenta una divisione dell’azienda in aree coerenti per ambito di attività: dall’amministrazione, agli acquisti, dalle vendite alla produzione e via dicendo. Tale struttura consente di raggiungere un’elevata specializzazione dei ruoli con conseguente efficienza operativa in ciascuna funzione. Il punto di debolezza di tale struttura è dato dal rischio di far lavorare le diverse aree separatamente, come se ogni reparto fosse un’azienda singola dell’organizzazione.
- Struttura divisionale. Tale suddivisione prevede una segmentazione che prende in considerazione una dimensione del business, come ad esempio una linea di prodotto o un mercato di riferimento. All’interno di ogni singola divisione ci sono funzioni che possono essere replicate e altre, di tipo funzionale, che restano sotto il controllo centrale. Tale organizzazione, soprattutto nelle aree in cui c’è una maggiore diversificazione degli elementi, genera una competizione interna che favorisce le performance produttive. Aspetto negativo di tale struttura è però lo sfruttamento di economie di scala che rischiano di dare vita ad aziende distinte all’interno della stessa azienda.
- Struttura a matrice. Per ultima le aziende possono utilizzare una struttura a matrice che rappresenta un mix della struttura funzionale e di quella divisionale. Queste organizzazioni coniugano specializzazioni e coordinamento sebbene mostrino maggiori overhead di gestione.
Definire i ruoli aziendali e le mansioni
A seconda della struttura organizzativa è possibile stabilire ruoli aziendali e mansioni differenti: ogni modello implica infatti specializzazioni differenti.
Nel tessuto imprenditoriale locale è spesso facile pensare che il ruolo di ciascun individuo venga a delinearsi in maniera spontanea. E’ come se la definizione del ruolo aziendale sia frutto solo delle esperienze pregresse e delle materie di studio affrontate nel corso della formazione accademica.
Affinchè la produttività e l’operatività di un’azienda funzionino, è fondamentale che i ruoli aziendali siano ben distinti tra loro nelle specializzazioni e collegate ad altri settori lavorativi. Ogni lavoratore ha un ruolo specifico ma deve essere comunque in grado di dialogare con altri ruoli aziendali e coordinarsi con il resto del team poichè tutti devono operare per il raggiungimento dell’obiettivo comune.
Al fine di chiarire i confini operativi è necessario suddividere i compiti e le responsabilità in maniera precisa. In questo modo si eliminano eventuali dubbi in merito a cosa poter fare e cosa invece rientra nelle mansioni specifiche di altre figure operative.
Per definire i ruoli aziendali è opportuno prendere in esame alcuni fattori:
- Competenze
- Attitudini
- Caratteristiche caratteriali
Job description: quanto è importante?
Successivamente alla definizione della struttura organizzativa e dopo aver stabilito i ruoli aziendali di ogni membro del team, l’azienda deve elaborare un mansionario, o job description, ovvero un documento che descrive:
- Doveri e responsabilità di ognuno
- Principali funzioni del dipendente
- Requisiti e competenze necessari
- Compiti affidati
Il mansionario è dunque fondamentale per avere una chiara idea dell’organizzazione aziendale ma allo stesso tempo deve contenere ed esplicitare anche attività che richiedono una certa flessibilità al fine di creare team con competenze sempre più multidisciplinari.
Se l’articolo è stato utile per soffermarsi sull’importanza del team di lavoro e se pensi di non essere in grado di costruire un team che nel lungo periodo sia in grado di garantirti performance elevate, inviaci una mail all’indirizzo info@laccademya.com e scopri cosa possiamo fare per te.
Definire gli obiettivi aziendali come primo step del successo del business
Per avere successo nel business il primo passo da compiere è legato alla definizione degli obiettivi aziendali. Ad oggi molte imprese dedicano poco tempo alla pianificazione dei propri obiettivi e questo guida, nella maggior parte dei casi, verso un’impossibilità nel raggiungere la meta.
Per definire gli obiettivi aziendali è fondamentale conoscere le risorse a disposizione dell’azienda e avere una chiara visione di ciò che si vuole raggiungere nel medio e lungo periodo.
Così le aziende riscontrano una difficoltà nel raggiungimento di obiettivi specifici e si pongono obiettivi troppo generici che portano dipendenti e collaboratori a lavorare in maniera del tutto casuale.
Definire gli obiettivi aziendali con il metodo S.M.A.R.T.
Il 1954 è l’anno che segna il superamento dell’organizzazione scientifica tayloristica e l’avvento di un nuovo metodo organizzativo.
Nel suo libro The Practice of Management, Peter Drucker introduce un metodologia del tutto nuova per la definizione degli obiettivi aziendali nota come il metodo S.M.A.R.T.
Nell’acronimo dell’economista austriaco sono riportate le caratteristiche degli obiettivi aziendali che conducono il business o il brand al successo.
S.M.A.R.T. sta per:
- Specific. Ogni obiettivo che l’azienda definisce deve essere chiaro e specifico affinchè si possano attuare strategie chiare.
- Measurable. Per comprendere se il risultato atteso è stato raggiunto, l’obiettivo deve essere misurabile in termini economici e strategici.
- Achievable. Analizzando le risorse a disposizione e le capacità del team di progetto l’obiettivo deve essere realizzabile. Fissare obiettivi troppo ambiziosi o che non prevedono un’attenta analisi di fattibilità implica una demotivazione che allontana l’azienda dal fine ultimo.
- Realistic. Gli obiettivi aziendali devono essere stimolanti ma realisticamente raggiungibili in termini di competenze, risorse e mezzi. Se l’obiettivo si distanza notevolmente dalla realtà rischia di scoraggiare dirigenti e team operativi.
- Time Related. Fondamentale è definire la data entro la quale raggiungere l’obiettivo stabilito. Se per raggiungere un obiettivo occorre un periodo medio lungo, è indispensabile individuare delle scadenze intermedie.
Chiarite le caratteristiche degli S.M.A.R.T. goals, vediamo insieme alcuni esempi di una pianificazione degli obiettivi aziendali che seguono il metodo in analisi.
Obiettivo non S.M.A.R.T. | Registrare un aumento del fatturato.
Obiettivo S.M.A.R.T. | Il fatturato lordo delle scarpe deve registrare un aumento del 20% nei primi 6 mesi dell’anno rispetto ai primi 6 mesi dell’anno precedente.
Obiettivo non S.M.A.R.T. | Ricollocare i miei dipendenti.
Obiettivo S.M.A.R.T. | Effettuare ogni settimana, nei prossimi due mesi, test di valutazione delle competenze dei dipendenti fin quando entro il 30 novembre 2020 non avrò ricollocato tutti i dipendenti.
Appare evidente come gli obiettivi non S.M.A.R.T. non hanno indicazione sulla scadenza e la durata dell’attività e dunque non consentono una misurazione veritiera. Dall’altro lato, gli obiettivi aziendali S.M.A.R.T. spingono all’azione poichè precisi, motivanti e misurabili.
Utilizzo del metodo S.M.A.R.T. per raggiungere gli obiettivi aziendali
Per poter applicare questo metodo, nato dalla filosofia gestionale Management by Objectives (MBO), l’imprenditore ha bisogno di un monitoraggio e di linee guida in grado di condurre l’azienda ai risultati attesi.
- Obiettivi motivanti per imprenditori e dipendenti. Stabilendo attività in grado di generare un valore aggiunto personale e professionale comporta un maggior entusiasmo nella gestione delle attività. Se non c’è interesse nel raggiungere uno specifico risultato, l’obiettivo non è perseguibile.
- Ambiguità. L’eccessiva vaghezza o ambiguità può essere controproducente poiché se non è possibile effettuare una valutazione dei traguardi rispetto alle previsioni fatte, l’imprenditore e il management non sono in grado di analizzare il progresso delle attività verso il raggiungimento della meta.
- Trascrivere gli obiettivi stabiliti. Il primo passo per rendere tangibile e reale un obiettivo è dato dalla scrittura. Trascrivere le mete e gli obiettivi che si intendono raggiungere generano una maggiore consapevolezza di ciò che dovrà essere svolto dai vari team coinvolti.
- Pianificare azioni e attività. Focalizzarsi eccessivamente sul risultato da raggiungere allontana spesso dall’obiettivo. È fondamentale nel processo di definizione degli obiettivi pianificare una strategia che evidenzi i passaggi necessari da compiere per il raggiungimento di un determinato scopo.
- Misurazione dei progressi. Una volta definiti gli obiettivi è fondamentale monitorare le attività svolte ed intervenire in caso di azioni che non risultino allineate e funzionali al raggiungimento della meta: l’obiettivo finale può non subire drastiche modifiche, il piano d’azione si.
Il metodo S.M.A.R.T. dunque costituisce una metodologia più che valida nella definizione degli obiettivi aziendali, tuttavia bisogna tenere a mente come ci siano dei risvolti, che se non tenuti bene in mente possono trasformare i vantaggi del metodo in svantaggi, come ad esempio:
- Aumento dell’ansia da prestazione se in azienda non viene applicata un’adeguata cultura dell’errore. Ma per comprendere il pensiero aziendale a riguardo è sufficiente porsi una domanda: il fallimento viene visto in un’ottica costruttiva?
- La formulazione realistica talvolta tende ad allontanare la realizzazione di progetti basati su idee ambiziose e visionarie promuovendo alle volte mediocrità.
A conclusione è possibile affermare che soltando partendo da una corretta definizione degli obiettivi è possibile aumentare il valore e il fatturato dell’azienda.
Se pensi che ad oggi la tua azienda non ha chiara la meta da raggiungere, visita il sito e scopri cosa Laccademya può fare per te.
Come ridisegno l’impresa dopo il Covid-19
“Scritta in cinese la parola crisi è composta di due caratteri.
Uno rappresenta il pericolo e l’altro rappresenta l’opportunità.”
Disse John F. Kennedy in un discorso a Indianapolis il 12 aprile 1959.
Crisi
La vita di tutti è stata stravolta.
Niente più ufficio, poi niente più corse, passeggiate, per molti niente più lavoro e aziende chiuse, didattica a distanza, niente supporto di asili nidi e nonni; la sempre maggiore familiarità con termini come lockdown e l’attesa impaziente della diretta di Conte. Spazi di lavoro che sono diventati spazi di vita.
Incertezza, imprevedibilità, talvolta rabbia, i sentimenti che la stanno facendo da padroni.
Opportunità
Le crisi possono dare la spinta per cambiamenti che erano già in essere.
Ma come si reagisce? In modo propositivo. E mettendo in campo quelle attività che vogliamo racchiudere in alcune macro azioni: comunicazione, innovazione, formazione, cooperazione.
Perché il cambiamento non si improvvisa.
Laccademya e le imprese nel lockdown
Fare impresa è quello che sappiamo fare meglio.
E in questo particolare momento storico vogliamo contagiarti di positività e produrre innovazione sociale. Per essere a fianco delle aziende nella crisi e nella ripartenza.
Per ridisegnare l’azienda, bisogna esplorare la realtà attraverso tre grandi temi:
- organizzare uno smart working che funziona
- gli aspetti finanziari e legali in contesti di crisi
- il brand journalism: comunicare in emergenza
Smart working: non basta dire lavorate da casa
Con la quarantena, lo smart working ha avuto grande diffusione e popolarità, ma spesso è stato banalizzato: non è solo lavorare in remoto mediante piattaforme condivise e non è sufficiente dotare i dipendenti di computer e collegamento internet per attivare il lavoro agile.
Tra l’altro, per molti imprenditori che non avevano dimestichezza con questa modalità, si è fatta strada la speranza che l’adozione dello smart working consentisse di poter avere costi inferiori in termini di gestione del personale. Che, da casa, doveva adottare gli stessi modus operandi di quando era in ufficio.
L’errore di valutazione si è reso subito evidente.
Lo smart working è un nuovo modo di intendere non solo il lavoro, bensì l’organizzazione aziendale e le modalità di gestirla. È un processo strategico che va a disegnare la struttura organizzativa e il modo di lavorare per gli anni a venire.
Trasformare l’impresa attraverso lo smart working
Soprattutto nelle PMI, dove non sempre gli organigrammi sono chiari e ben strutturati, è necessario definire con accuratezza ruoli e competenze. E individuare bene le persone che possono ricoprirli al meglio, comprendendo che non tutti i collaboratori sono idonei al lavoro agile.
Affinché lo smart working funzioni in modo efficace è essenziale “mentalizzare” imprenditori e personale a ragionare in modo diverso, orientandoli al raggiungimento degli obiettivi, all’autonomia e non solo al rispetto degli orari.
Ed è qui la grande sfida. Convincere alcuni manager a fidarsi dei propri collaboratori, responsabilizzarli e coinvolgerli, senza controllarli continuamente.
Va effettuato un cambiamento di visione e pianificazione. E, come dicevamo, i cambiamenti non si improvvisano.
L’impossibilità di adottare schemi “preconfezionati” e i vantaggi economici scaturibili dalla maggiore produttività sviluppata dal personale che aderisce ad un piano di smart working ben sviluppato (del modello di successo dello smart working abbiamo parlato in questo articolo), fanno emergere la complessità del progetto, che deve essere studiato specificatamente per ciascuna realtà imprenditoriale e la conseguente necessità di affidarsi ad esperti.
Crisi: economica, legale, finanziaria. Come si affronta
Tra gli obiettivi che un’impresa deve raggiungere c’è anche quello di evitare squilibri nella gestione, scongiurare l’insolvenza, mantenere una continuità aziendale, garantendo il corretto utilizzo, la gestione e la conservazione delle risorse economiche finanziarie.
Si rende allora doverosa la consulenza di professionisti capaci di agevolare tutte quelle azioni strategiche volte a cogliere le opportunità economiche e finanziarie in un momento di crisi imprevisto.
Le situazioni di ristrutturazione, riorganizzazione, dovranno tenere conto anche dello stato psicologico dei dipendenti, in un momento che non ha precedenti nella storia recente. E la capacità dei leader di prendere decisioni in tempo reale dovrà essere supportata dalla conoscenza delle opportunità che possono mettere in gioco.
Comunicare in emergenza con il brand journalism
Brand journalism significa raccontare la storia che c’è dietro un marchio, l’identità che lo differenzia dai competitors, mettendo in luce gli elementi che rendono l’azienda riconoscibile sul mercato. É tra gli strumenti più efficaci per la creazione di un rapporto di fiducia con il proprio target audience.
E quale migliore mezzo di questo per mantenere attiva la comunicazione in un momento di emergenza in cui tutti siamo più smarriti ed abbiamo bisogno di rinnovata energia?
Ma la comunicazione, ancora di più quella di crisi, va fatta con maestria: le parole dosate, il tono di voce adatto, il messaggio chiaro, i racconti e le emozioni trasmessi sinceri.
Le leve di comunicazione possono essere diverse da quelle che si era soliti usare. L’empatia e l’autenticità vanno considerate come risorse fondamentali da mettere in campo nella scrittura online.
Lavoro non semplice. A cui vanno dedicati attenzione, cura. E strategia.
Smart Working, un modello di successo
Gli eventi dell’ultimo mese hanno portato alla ribalta lo smart working come soluzione adottata da tutte quelle aziende e professionisti che trovano in questa modalità operativa la perfetta commistione tra il rispetto dei giusti obblighi imposti dalla legge e la loro voglia o necessità di non fermare il lavoro quotidiano.
Lo smart working è tuttavia un metodo utilizzato da tempo da alcune realtà, spesso le più grandi, e sembra anche essere un ottimo incentivo per migliorare la produttiva dei lavoratori che così riescono ad organizzare meglio il proprio tempo e percepiscono una maggiore sensazione di benessere.
Può essere interessante ora per le PMI prendersi del tempo per comprendere se questa pratica sia una possibile risorsa per il loro futuro – al di là del momento contingente – e se possa restituire nuova linfa all’impianto organizzativo interno all’azienda stessa.
Smart working, che cos’è
Lo smart working non è semplicemente il lavoro da casa. È una ben precisa tipologia di attività, regolata da norme giuridiche dedicate.
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali lo definisce così: “lo Smart Working (o Lavoro Agile) è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività”.
In pratica la filosofia che sta alla base dell’idea dello smart working è che per svolgere bene i propri compiti, i professionisti possano disporre del proprio tempo in maniera assolutamente autonoma, con l’obbligo però di rispettare tempistiche di consegna ed obiettivi fissati dal datore di lavoro.
Si fa molto affidamento dunque sulla responsabilità del lavoratore, immaginando – ed i dati che a breve condivideremo lo confermano nella realtà – che una maggiore libertà sia di stimolo alle menti più brillanti, che riescono così a migliorare la propria produttiva e le proprie performance.
I numeri dello smart working
Il mondo delle PMI italiane ha sempre risposto in modo attento alle novità che il progresso tecnologico ha saputo proporre. Ecco quindi che anche lo smart working potrebbe essere una nuova frontiera da approcciare in modo più o meno deciso, a seconda delle aree di produttive dell’azienda e della effettiva possibilità per i dipendenti di lavorare da remoto.
Sono i dati quelli che in maniera maggiore interessano gli imprenditori, perché capaci di restituire un quadro chiaro, più di quanto mille riflessioni possano fare.
L’Osservatorio sullo smart working restituisce una foto abbastanza nitida, tenendo i primi 9/10 mesi del 2019 come riferimento.
- gli smart worker sono circa 570 mila, con una crescita del 20% rispetto al 2018;
- il 76% di loro si dice soddisfatto della propria professione, contro il 55% dei “normali” dipendenti;
- 1 su 3 si sente pienamente coinvolto nella realtà in cui opera e ne condivide valori, obiettivi e priorità, contro il 21% dei colleghi.
Soprattutto l’ultimo punto, in ottica di employee advocacy - il processo attraverso il quale i dipendenti diventano advocates, cioè rappresentanti e sostenitori della propria azienda, in particolar modo verso l’esterno - risulta particolarmente importante.
Andiamo un po’ più fondo sui benefici che i lavoratori riscontrano, perché come Accademia di formazione per le imprese, siamo convinti che investire sulle persone e sulle loro competenze, sia la scelta che davvero può fare la differenza per ogni azienda.
Bene, tra i benefici maggiormente apprezzati c’è il miglioramento dell’equilibrio fra vita professionale e privata (46%), che comporta una crescita nella motivazione e nel coinvolgimento nelle attività e progetti dell’azienda (35%).
Nello specifico poi, tra le PMI c’è un aumento della diffusione dello smart working: i progetti strutturati passano dall’8% del 2018 al 12% del 2019, mentre quelli informali dal 16% al 18%.
Casi di successo
Ogni anno vengono premiati i casi di successo di aziende che hanno saputo fare dello smart working la loro marcia in più.
Nel 2019 lo Smart Working Award ha eletto tra i suoi vincitori nella categoria grandi imprese Europ Assistance per il progetto “EA Smart Working”, Reale Mutua per l’iniziativa “Be Smart”, Saipem per l’iniziativa “FlexAbility”, Sky Italia per il progetto “Open Working”. Tra le PMI ha trionfato invece MailUp e la Regione Emilia-Romagna è stata incoronata la migliore tra le pubbliche amministrazioni.
Engagement, come creare relazioni online
La qualità della relazione – o engagement - continua ad essere la variabile più potente in grado di influenzare la percezione che si ha di un brand.
Anche perché da essa dipende un’ulteriore ed importante leva capace di orientare le decisioni di acquisto delle persone: il passaparola.
Coinvolgere l’audience non è più da annoverare tra i vantaggi competitivi, ma è da considerare una conditio sine qua non: se sei online ma non riesci ad avere dei buoni livelli di engagement, la tua strategia fa acqua da qualche parte. E questo è un problema da gestire perché le relazioni che si creano sul web hanno sempre più ricadute pratiche sulla capacità delle aziende di farsi scegliere.
Al centro del nostro discorso ci sarà dunque proprio l’engagement: che cos’è, come monitorarlo, come aumentarlo.
Che cos’è l’engagement
L’engagement è un termine salito alla ribalta in seguito all’esponenziale crescita dell’interesse per i social media a livello manageriale. Traducendo dall’inglese, il significato letterale è “coinvolgimento”. Più nello specifico indica il livello di coinvolgimento degli utenti online nei confronti dei contenuti creati e condivisi da un brand.
In pratica, ci dice quanto il brand è interessante per l’audience e che tipologia di legame si è instaurato tra quest’ultima e l’azienda.
Maggiore è il livello di engagement, più sarà probabile che le persone tendano a parlare bene del brand, a consigliarlo, a recensirlo in modo positivo. A diventare, in ultima analisi, dei naturali brand ambassador.
Ed è proprio questo l’obiettivo che dovrebbe guidare la strategia di web e digital marketing delle piccole e medie imprese: fare in modo di diventare “amici” dei propri potenziali clienti, rispecchiarne i valori, essere percepiti come presenti, aumentare il livello di empatia, il tutto nell’ottica di creare attorno al brand un sentiment positivo, carburante fondamentale per il passaparola online.
Come aumentare l’engagement
Come elemento preliminare ai consigli che condivideremo per aumentare l’engagement, va detto che il lavoro di costruzione della brand awareness online deve essere programmato sul medio/lungo periodo: il cotto e mangiato non è un cammino percorribile.
È dunque necessario creare una strategia di engagement marketing che parta dal contenuto, per poi superarlo, andare oltre. In che senso? Continua a leggere e avrai tutto chiaro.
La prima cosa da fare è sviluppare un piano di contenuti – e con questa parola non intendiamo solo post o articoli blog, ma grafiche, infografiche, video, ebook, webinar ed altro ancora – che abbia alcune caratteristiche imprescindibili:
- Originalità
- Autenticità
- Personalizzazione
- Valore
Una volta strutturata la strategia di content marketing, arriva il difficile: costruire la relazione.
Per usare una metafora, il contenuto è l’amo, ma poi serve la bravura del pescatore per portare a casa il pesce!
Fondamentale è riflettere sul concetto di relazione: “condizione propria di due o più termini in quanto analoghi, interdipendenti o reciprocamente commisurabili; rapporto”.
Dunque non esiste relazione senza reciprocità. E che cosa significa questo, traslato nel rapporto tra brand e audience online? Che qualsiasi canale stiamo utilizzando per condividere il nostro contenuto, dobbiamo essere pronti a rispondere a qualsiasi commento-domanda-dubbio-critica il nostro pubblico ci ponga.
Sul web vincono i brand ricettivi, quelli in grado di condurre una conversazione, di interagire costantemente, di creare una community.
Altro aspetto che ti consigliamo di tenere presente per aumentare l’engagement è la capacità di lavorare sull’instant marketing: segui gli hashtag di tendenza e dì la tua – ovviamente se hai qualcosa di sensato da dire, percepito come contenuto di valore – dimostrandoti al passo con le notizie che possono interessare la tua audience.
Infine, sfrutta contest e sondaggi per coinvolgere i tuoi follower: falli sentire importanti e loro sapranno come ricambiare!
Brand Name, come sceglierlo
Trovare un brand name forte, significativo e originale è un passo importante per costruire la propria identità aziendale.
Il nome è infatti il primo livello di contatto che abbiamo con le persone ed è anche il mezzo attraverso il quale viaggia il passaparola: che sia online o offline anche questo è un aspetto determinante.
Quali regole dunque dovresti seguire per scegliere un brand name efficace? Lo scopriremo insieme, scorrendo anche alcuni casi famosi.
Le regole fondamentali del brand name
Lo studio del brand name è materia adatta ad esperti del settore; ma è buona regola che anche gli imprenditori possano avere una conoscenza non superficiale dell’argomento. Perché affidarsi a dei professionisti è corretto, ma conoscere il contesto permette di orientare correttamente la propria scelta finale.
Ecco dunque che alcune delle “regole” che andremo ad enunciare potrebbero sembrare in contrasto con il comune sentire. Ma la spiegazione affiancata sarà in grado di chiarire tutti i perché.
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Sigle, meglio evitarle
Utilizzare delle sigle è sconsigliato. Hanno infatti necessariamente bisogno di una spiegazione ulteriore per coglierne il significato e creano difficilmente un’ancora nel pensiero delle persone.
Sono inoltre soggette spesso a confusione, perché difficili da ricordare. -
Essere di poche parole
Un’altra annosa questione è quella che riguarda il numero ottimale delle parole. Se si riesce nell’impresa di utilizzarne solamente una, questa è la cosa migliore. Il cervello ama le cose semplici e memorizzare un solo termine minimizza lo sforzo. In genere comunque, meglio non andare mai oltre le tre parole, articoli esclusi.
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Occhio alla lingua
La definizione del target è un’operazione preliminare necessaria anche nella scelta del Brand Name. Per quanto l’inglese possa in molti casi avere una resa migliore – soprattutto se parliamo di brevità – nel caso in cui il tuo riferimento è il mercato italiano, questa dovrebbe essere la scelta. Ci sono poi dei settori dove è possibile discostarsi da questa regola: l’hi-tech per esempio è oggettivamente la patria dell’inglese.
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Pensare sempre all’online
Non esiste oramai piccola e media impresa che non abbia un sito internet. Immagini che problema sarebbe se il dominio del sito fosse diverso dal brand name scelto? Enormi sarebbero le difficoltà che creerebbe questa discrepanza, sia in termini di ricerca dell’utente che di indicizzazione. È bene dunque controllare sempre la disponibilità del dominio nel momento in cui si pensa al naming.
Brand Name, esempi famosi
Certo, oltre a questa carrellata di regole, non esaustiva ma sicuramente utile come bussola, ci sono altri motivi che portano alla scelta di un brand name. Prime tra tutte emozioni, suggestioni, ricordi, esperienze personali.
Andiamo a curiosare tra le motivazioni dietro la scelta di alcuni dei più famosi naming al mondo.
Ikea
Ikea è l’acronimo delle iniziali del fondatore Ingvar Kamprad e di Elmtaryd e Agunnaryd, rispettivamente la fattoria e il villaggio dove Kamprad crebbe.
Lego
In questo caso dietro la scelta c’è un collegamento con l’etimologia: Leg Godt in danese vuol dire Gioca bene. Ottimo anche il fatto che nel brand name sia già insita parte della mission dell’azienda.
Amazon
Il fondatore Jeff Bezos voleva che la sua azienda si posizionasse sin da subito come prima nella mente dei consumatori. Per questo decise che il brand name avrebbe dovuto iniziare per A. La scelta ricadde poi su questo termine per evocare il potere del fiume sudamericano.
Da Federal Express a Fedex
A volte un naming può anche modificarsi nel corso del tempo. La crasi che ha portato l’iniziale Federal Express a modificarsi in Fedex ha la sua ragione nella volontà di rafforzare il concetto di velocità e tempestività.
Come vedi ognuno degli esempi citati ha una propria storia, ma tutti hanno in comune la capacità di imprimersi nella mente del consumatore e di farsi ricordare con estrema facilità.
Viral Marketing, come utilizzarlo a tuo favore
Il viral marketing è il prodotto di una precisa strategia di comunicazione, in cui messaggio, supporto e contenuto vengono studiati e decisi da esperti.
È molto interessante approfondirlo in ottica imprenditoriale perché può massimizzare la visibilità di un prodotto o di un servizio, grazie all’intervento di utenti che, inconsapevolmente, possono diventare dei brand ambassador.
Viral Marketing, che cos’è
Ne avrai sentito sicuramente parlare più volte, come di un fenomeno per il quale un gran numero di persone finisce per concentrare la sua attenzione su qualcosa. Ma non è semplicemente merito della casualità: dietro al viral marketing c’è un complesso processo di strutturazione del contenuto e di approccio ai canali di comunicazione.
Il viral marketing è quindi tecnica di marketing non convenzionale che mira alla produzione di contenuti capaci di coinvolgere così tanto il pubblico destinatario, da farlo diventare involontariamente propagatore del messaggio, producendo un incremento esponenziale della visibilità del contenuto stesso.
Negli ultimi 20 anni il viral marketing è diventato uno dei mezzi più potenti di promozione per le aziende. Perché?
- Il passaparola continua a godere della fiducia dei consumatori e, più di qualsiasi campagna pubblicitaria, riesce a convincere all’acquisto o quanto meno a generare interesse;
- ognuno di noi ha più di un account social e li usa costantemente, spesso per orientare i propri comportamenti d’acquisto; se incrociamo lo stesso contenuto, molte volte, su piattaforme diverse, consigliato da amici diversi…il gioco è fatto!
- solitamente i contenuti pensati per il viral marketing prevedono una modalità di advertising declinata con le logiche dell’intrattenimento, dell’originalità, del coinvolgimento emotivo e per questo riescono a massimizzare l’engagement;
- si basa su uno studio ben preciso del target di riferimento che si vuole raggiungere e che deve diventare propagatore del messaggio: valori, esigenze, desideri, bisogni.
I vantaggi del marketing virale
Quali possono essere, a livello imprenditoriale, i vantaggi di una campagna di viral marketing ben strutturata?
In primo luogo, la promozione del brand. Che si ricorra a questa tecnica di marketing proprio per far parlare del brand o per spingere un determinato prodotto o servizio, la ricaduta in termini di riconoscibilità sarà immensa: il viral marketing è un ottimo strumento per costruire la brand awareness e anche per indirizzare la brand reputation.
Altro vantaggio, possiamo segnalarlo a livello di investimento economico. Se infatti è vero che strutturare una campagna di questo tipo rende necessaria una strategia a monte, alla quale necessariamente devono prendere parte esperti del settore, e una successiva realizzazione del contenuto che potrebbe essere altrettanto complessa, lo è pure che si vanno a limare i costi del budget promozionale. Se la campagna funziona, saranno gli utenti a propagarla, come fosse un virus.
Molto più ampia è l’audience che si riesce a raggiungere. Perché ognuno di noi è collegato, come minimo, in media ad altre 1000 persone sui social: una cassa di risonanza potenzialmente enorme! Che, torniamo al punto di cui sopra, richiederebbe altrimenti un budget elevato in sponsorizzazioni per essere raggiunto e comunque non avrebbe la stessa efficacia. Ricordiamoci la forza del passaparola.
Infine, viene percepita come per nulla invasiva. Perché, appunto l’utente non si sente vittima delle solite logiche del marketing push, ma è lui stessa che si interessa a quel contenuto, promosso da un amico, conoscente o comunque qualcuno che fa parte della propria cerchia.
Il marketing virale è assolutamente un’opportunità da inserire nella cassetta degli attrezzi di un imprenditore al passo con i tempi.
Brand Reputation, fatti scegliere!
Perché dovresti occuparti di costruire la brand reputation della tua impresa?
Quando si ha a che fare con bilanci da far quadrare, investimenti da ottimizzare, margini da aumentare e soddisfazione del team da far crescere, tutto deve avere un perché forte: altrimenti quelle energie, mentali o economiche, vanno spostate su altro.
Questo è il punto di vista di 90 imprenditori su 100 ed è proprio per questo che dovrebbe interessare avere una brand reputation forte.
La brand reputation è quella che fa sì che la tua azienda sia riconosciuta come differente e per questo meglio posizionata nella mente dei potenziali clienti, rispetto ai tuoi competitor.
Approfondiamo meglio.
Che cos’è la brand reputation
La brand reputation è la percezione che gli altri – clienti, potenziali clienti, competitor, mercato – hanno della tua azienda e del tuo marchio.
Non ha a che fare tout court con il prodotto o il servizio che proponi e con le sue prestazioni: non è qualcosa di materiale e tangibile.
Proprio come la reputazione di una persona, la brand reputation è una ricchezza immensa perché permette alla tua azienda di collocarsi nella mente dell’audience immediatamente nelle prime posizioni della propria categoria anche solo per merito del passaparola, di ciò che si dice o si legge.
Ovvio poi che tutto deve corrispondere a realtà: altrimenti potrebbe determinare una grave crisi della tua storia imprenditoriale.
Soprattutto se parliamo di online e di web marketing, le opinioni delle persone sono il vento che permette alla tua barca di andare avanti: se sono positive, convinceranno i prospect a diventare tuoi clienti.
La riprova sociale è uno dei motori per eccellenza in grado di darci l’ultimo là per compiere un’azione: se parlano bene di quel brand, se si fidano, se lo acquistano, se si dicono soddisfatti e riacquistano più e più volte, possiamo considerare il marchio come top, quello che tutti vogliono.
La brand reputation si costruisce nel tempo, con una serie di azioni online e offline. E va curata costantemente perché ci vuole molto per ottenere una determinata percezione da parte del pubblico, ma poco per perderla. Anche definitivamente.
È un investimento certo, in termini di risorse e tempo, e costituisce una delle più potenti leve di marketing da utilizzare: avere una forte brand reputation permette di farsi scegliere dai clienti senza doverli andare a cercare con il proverbiale lumicino.
Come costruire la brand reputation
Ci sono alcune fasi preliminari sulle quali concentrarsi prima di fare brand reputation.
Per prima cosa, avere chiaro il proprio posizionamento di brand: come è possibile capire quali sono i bisogni e le richieste del nostro target, se non abbiamo chiaro qual è il nostro target?
Seconda cosa, è necessario che il brand sia conosciuto: se non lo è, inutile preoccuparsi della sua reputazione. Quindi, sono da mettere in scaletta le azioni specifiche che contribuiscono a costruire la brand awareness.
Cementate le basi, è possibile iniziare a mettere i mattoni della brand reputation.
Non si può prescindere da:
- piano di content marketing
- advertising
- influencer marketing
- programmi/progetti di fidelizzazione del cliente
- servizio clienti ed assistenza di altissima qualità
Non meno importante, la capacità a livello web e social, di intercettare quasi in tempo reale le conversazioni in cui si scrive del brand e di rispondere, sia alle menzioni e ai commenti positivi quanto, e forse ancora di più, a quelli negativi: la gestione delle obiezioni è da sempre un caposaldo della vendita!
Concludendo, la brand reputation è una risorsa, da creare, alimentare e custodire quotidianamente.
I social media per il marketing b2b
Se il tuo prodotto o servizio è diretto ad altre imprese, ti è utile una strategia di social media marketing? La risposta è si.
Se vuoi sapere anche il perché, continua nella lettura: vedremo insieme quale può essere un corretto utilizzo dei social per il b2b.
Social per il b2b, perché si
L’errore che si commette è quello di credere che quando il target di riferimento si sposta dalla persona all’azienda, vadano utilizzate solamente le classiche strategie di marketing offline.
I social per il b2b sembrano, a chi la vede in questo modo, un inutile spreco di tempo e di energie.
Ma, graffiamo leggermente la superficie e scendiamo ad un livello di un’analisi più profonda: da chi sono composte le aziende? Da persone. E dunque in realtà non cambia poi molto.
Una strategia social per b2b avrà lo scopo di instaurare relazioni e conversazioni con quelle persone che, all’interno di un’azienda, sono deputate a prendere decisioni circa gli acquisti.
Potrebbero essere responsabile di produzione, capo ufficio acquisti, direttore marketing, responsabile risorse umane.
Figure chiave che frequentano i social media con un approccio certamente più professionale, ma comunque alla ricerca di un brand capace di creare in loro curiosità, interesse, senso di fiducia.
Inoltre, lavorando ad una corretta strategia social per b2b, si avrà un vantaggio enorme: la possibilità di focalizzarsi su gruppi – tanto su LinkedIn quanto su Facebook - che raccolgano persone dai chiari interessi, espressi e profilati.
Quali sono le “regole” da seguire
Quando si parla ad altre aziende, si può avere la tentazione di essere più diretti e focalizzati: parlare solo del proprio prodotto o servizio e per di più in modo tecnico.
Si può credere che, volendo raggiungere professionisti specificamente interessati a ciò che abbiamo da dire, il lato più umano della relazione possa essere tralasciato.
Un brand che vuole utilizzare in maniera corretta i social per il b2b, deve invece capire che la natura conversazionale del social è sempre la leva più forte che si possa mettere in campo per creare interesse ed engagement, a prescindere dal target che si va a colpire.
Quello che cambia è di certo il linguaggio che, parlando a professionisti, deve essere sicuramente più business oriented.
Chiudiamo con alcuni consigli utili alla costruzione di una corretta strategia social per il b2b:
- Scegli la piattaforma giusta
- Sii sempre autentico
- Non fare spam
- Rispondi sempre a domande e commenti, anche a quelli scomodi
- Dai informazioni utili e concrete
- Dimostra di essere affidabile
- Crea relazioni, interagisci con altri gruppi, amplia la tua cerchia
- Studia il giusto mix di contenuti, equilibrando post di prodotti/servizio ad altri che mirino più alla semplice conversazione
Digital Branding Strategy, gli elementi essenziali
Perché occuparsi di digital branding strategy? Una domanda alla quale urge dare una risposta, soprattutto all’interno delle PMI, che devono ottimizzare risorse, professionalità, investimenti in maniera forse più oculata rispetto alle multinazionali.
Il passaggio dall’offline all’online, ha ridisegnato completamente i tratti e le modalità di advertising, posizionamento di brand, ricerca, conversione e fidelizzazione del cliente.
Oggi pertanto, è imprescindibile dotarsi di una strategia che posizioni il brand soprattutto online, nel rispetto dei valori e dell’identità di marca.
Che cos’è la Digital Branding Strategy
La digital branding strategy è un’evoluzione o, meglio, una specifica area della tradizionale strategia di posizionamento del brand; ha lo scopo di strutturare, curare, monitorare, ottimizzare la presenza del brand online, aumentandone l’autorevolezza, la visibilità e la capacità di engagement.
Scendendo nel pratico, fare digital branding strategy significa:
- analizzare il comportamento del proprio target online
- scegliere su quali canali online essere presenti, con quale specifico contenuto e linguaggio
- individuare gli strumenti promozionali più adatti
- monitorare ed analizzare costantemente gli indicatori di performance (KPI)
- ottimizzare la strategia in base ai dati ottenuti
Impostare una strategia di branding online, le operazioni preliminari
Sai che il 94% delle persone effettua una ricerca online prima di eseguire la conversione finale legata all’intento di ricerca?
Ecco perché è fondamentale non solo essere presenti online, ma avere una precisa digital branding strategy, grazie alla quale creare un posizionamento di brand che faccia percepire agli utenti la capacità del tuo prodotto/servizio di rispondere alle loro esigenze meglio di tutti i competitors.
Prima di impostare una strategia di questo tipo bisogna eseguire alcune operazioni preliminari di analisi legate al target di riferimento ed al comportamento dei competitors.
Per prima cosa scoprire come la potenziale audience usa i canali digitali: quali social, che tipo di ricerche, quali contenuti preferisce.
Una volta definita una chiara istantanea, si passa alla concorrenza. Su quali media online è presente, con che tipologia di contenuti, che linguaggi utilizza, come viene percepita, quali sono i suoi punti forti e quali quelli deboli da attaccare.
Quindi, arriva la parte più difficile: l’implementazione della digital branding strategy.
Diamo per scontato che sia già stato fatto un lavoro strategico a monte, per cui si avrà già chiaro quali sono i valori del brand, il suo tone of voice, la unique selling proposition e tutto ciò che lo differenzia dai suoi competitors.
Resta quindi “solo” da capire come tradurre tutto questo online.
Digital Branding Strategy, gli strumenti
Quali sono gli elementi essenziali da utilizzare per costruire una digital branding strategy?
E cioè, in che modo puoi ottenere che il tuo brand si posizioni online e, di conseguenza, nella mente della tua audience in una posizione di preminenza rispetto a tutti i tuoi competitors?
- Sito internet
Non si può non avere un sito. Anzi, deve essere il punto focale della strategia di posizionamento online, quello verso il quale convergono tutte le specifiche azioni che compirai nei vari canali online. Il sito deve essere ottimizzato in ogni suo aspetto: user experience, usability, seo, graphic design, ux writing, copywriting.
- Social Media
Impossibile prescinderne da una digital branding strategy degna di questo nome. I social sono le nuove piazze, quelle in cui prendiamo informazioni che orienteranno il nostro comportamento d’acquisto. Un errore da non commettere: non vedere i social come dei puri strumenti di vendita. Possono riuscire ad intercettare l’interesse degli utenti e, se siamo bravi a nutrirlo, il semplice interesse potrebbe diventare una conversione.
L’obiettivo deve essere costruire una community coesa e fortemente impregnata dei valori del nostro brand.
- Advertising
Non c’è nulla di davvero gratuito online. Devi investire in advertising per fare in modo che i tuoi contenuti arrivino a destinazione. Certo, prima dobbiamo aver ottimizzato tutti i dettagli. Per esempio il sito deve essere ottimizzato lato SEO. Ma non basta. Ci sono due tipologie di investimenti pubblicitari da utilizzare: Google Ads – ottimo per intercettare la domanda espressa – oppure le campagne social – che lavorano in maniera maggiore sulla domanda latente.
Impostare una digital branding strategy è sicuramente complesso, ma altrettanto necessario.
Un consiglio? Non perdere l’evento organizzato da Laccademya proprio su questo tema, Sabato 14 Dicembre!